Il 14 giugno di trentacinque anni fa, esattamente l’anno dopo la pubblicazione del loro primo singolo (l’EP “An Ideal For Living”, del 1978), i mancuniani Joy Division raggiungono il traguardo a 33 giri con “Unknown Pleasures”.

L’album d’esordio viene stampato dalla giovanissima Factory Records –etichetta poi fallita agli inizi dei Novanta– che da lì a poco avrebbe contribuito (non poco) alla crescita culturale della Manchester degli anni ’80, soprattutto grazie alle profonde innovazioni apportate nel panorama discografico indie (tra le bands prodotte, oltre ai Joy DivisionNew OrderDurutti ColumnA Certain RatioHappy Mondays e James). La label, fondata nel ’78 dal giornalista e conduttore televisivo Tony Wilson, si avvaleva di un team creativo di tutto rispetto e comprendente, su tutti, il produttore Martin Hannett ed il grafico Peter Saville che conferirono ai Joy Division un suono unico ed un’immagine ovunque riconoscibile.

L’artwork di Saville per “Unknown Pleasures” viene ancor oggi ricordato per una particolare idea inizialmente balenata al batterista Stephen Morris: si tratta di un’immagine contenuta nella Cambridge Encyclopedia of Astronomy –opportunamente lavorata dal nero su bianco al bianco su nero– e che rappresenta una serie di pulsazioni elettromagnetiche prodotte dalla prima stella Pulsar. La copertina dell’album è assolutamente perfetta anche perché, già da allora, riuscì a far comprendere il mondo oscuro dei Joy Division. La semplicità e l’essenzialità del suddetto lavorìo grafico trovano un continuum nel retrocopertina, caratterizzato dall’assenza di dicitura circa titoli ed informazioni afferenti ai due lati del vinile: solo due semplici scritte, “outside” ed “inside”, quasi a sottolineare il mood oscuro del disco ma anche deciso e senza fronzoli dei Joy Division.

L’album si apre con “Disorder”, sorta di manifesto fatalistico soprattutto per versi come “I’ve been waiting for a guide to come and take me by the hand / Could this sensations make me feel the pleasures of a normal man?” (“Ho aspettato per una guida che venisse a prendermi per mano / Queste sensazioni potrebbero farmi sentire i piaceri di un uomo normale?”). Versi spiazzanti. Spiazzanti come buona parte dei testi della memorabile “Transmission” e della celestiale “Atmosphere”. E non sono da meno le altre tracce, tra le quali la lenta e pesante “Day Of The Lords” ed il capolavoro dark “New Dawn Fades”, entrambe composizioni che sembrano formare vortici emozionali venuti dal nulla. In esse le parole dipingono una tragedia esistenziale senza precedenti, anche se va detto che l’enfasi melodrammatica è qualcosa di assolutamente estraneo ai testi, pregni della più totale solitudine e dalla sfiducia verso tutto e tutti.

Ian Curtis è dunque il vero e proprio artefice di parole annichilite dalla paura: le stesse che esprimono una forza interiore devastante e, al contempo, l’accettazione della propria totale sconfitta intesa, però, come qualcosa di logico, normale, naturale. E ciò si percepisce ancor di più in “Closer”, album seguente, caratterizzato da lyrics che vanno dal fallimento del matrimonio di Curtis alla cronaca dell’epilessia da cui egli era affetto (così come l’amica celebrata in “She’s Lost Control”, classic track che apre la b-side del vinile a 33 giri).

Diamante grezzo all’insegna di sonorità ossessive nella sua struttura quasi punk, “Unknown Pleasures” non è per niente un disco di facile ascolto soprattutto perché lascia nudo e spaurito l’ascoltatore, costringendolo a guardare in faccia angosce e disagi, avendo come soundtrack le chitarre ripetitive di Bernard Sumner, le glaciali linee di basso di Peter Hook e la stentorea voce di Ian Curtis, riluttante sciamano di una band immortale nonostante la precoce scomparsa del proprio leader. Quando infatti Curtis s’impiccò il 18 maggio 1980, non ancora ventiquattrenne, “Unknown Pleasures”, “Closer” e, soprattutto, i Joy Division divennero istantaneamente leggenda mentre, paradossalmente, la rivista Sounds li aveva appena definiti ‘miglior band del 1980’.

Per meglio comprendere quanto sin qui riportato, invito il lettore (casomai non l’avesse ancora fatto) alla visione dello stupendo film di Anton Corbjin, da sempre al seguito dei Joy Division: il notissimo ‘fotografo del rock’, nel 2007, è infatti riuscito a mettere su pellicola le vicissitudini della band –ed in particolare la vita di Ian Curtis– con “Control”, purtroppo ignorato dal mercato italiano.

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