Intervistare Dario Brunori, frontman dei Brunori Sas è una esperienza che auguro a tutti. Ci siamo sentiti telefonicamente nel suo viaggio da Palermo, dove il giorno prima aveva concluso un concerto, verso Catania, dove avrebbe invece suonato lo stesso giorno e, dopo mille peripezie – una volta dovevo pranzare io, un’altra aveva da fare lui – mi ha promesso di chiamarmi per le 19. Puntuale come uno svizzero che controlla l’ora nel suo orologio svizzero (puntualità elevata alla seconda), mi chiama all’orario concordato e prima di intervistarlo scambiamo due parole. Dario è una persona col sorriso a 32 denti, con la battuta pronta e se ne frega di chi sta dall’altro capo del telefono, la sua simpatia, cordialità e disponibilità sono accessibili a tutti ed oggi a beneficiarne sono io; parla con un accento che ti fa sentire a casa (Dario Brunori è calabrese,ndr). La mia impressione è stata più che positiva, forse anche troppo e, prima di sfociare nel mieloso chiudo la bocca, o meglio fermo la mano e vi lascio leggere l’ intervista…
Dario Brunori, il “laureato presso l’Università di Siena”, l’“imprenditore mancato”, il “neo-urlatore italiano”, il “cantautore indie”, insomma sei stato definito in vari modi, ma realmente chi è sto Dario Brunori?
Sinceramente, non lo so, lo sto scoprendo via via, penso di non arrivare mai ad una risposta. Ma è questa la cosa fondamentale, chiedersi sempre chi è Dario Brunori, anche per il sottoscritto, fino alla fine dei miei giorni.
A proposito, io ho sempre sentito la parola indie, precedere parole come “rock”, “pop”, “folk”, addirittura “dance” ma mai “cantautore”, cosa può voler dire secondo te?
Secondo me è semplicemente un’ etichetta che in passato aveva una sua funzione, definiva infatti un certo ambito musicale e che oggi è stata estesa a tutti quei progetti che non nascono in seno alle major. Prima aveva, secondo me, una funzione legata molto più alla contro-cultura, all’alternativa, oggi invece chi non esce per major viene inglobato in questa scena.
C’è un circuito fatto anche di locali, di club che seguono questo tipo di progetti, ma per quanto mi riguarda la parola “indie” la lascerei legata all’indipendenza artistica…almeno per me. Fino ad oggi ho fatto quello che ho voluto, come l’ho voluto e fin quando sarà così per me, la mia musica sarà indipendente, nel senso di indipendente da volontà altrui.
Dario, tu rientri a pieno diritto nell’ etichetta di cantautore, ora, considerata l’importantissima tradizione cantautorale italiana, la domanda che sorge spontanea è, come ci si sente a raccogliere sulle proprie spalle il peso di questa grande eredità?
Ma guarda, in realtà non è un peso che mi sento addosso, perché oggettivamente non è una cosa che ho palesato come mio desiderio. Io scrivo delle canzoni, poi chi fa il suo mestiere, ed è anche giusto, deve etichettare; mi rende felice però il fatto che ci siano dei riferimenti quando si parla di me, ad artisti più che stimabili, anche fin troppo direi, (ridendo,ndr), per cui mi sta anche bene, a patto però che questa non diventi una prigione. Voglio non sentire nessun peso, sentirmi libero. Se domani voglio fare un disco dance, farò un disco dance…dance anni ’80! (ride)
Si sente costantemente ripetere da addetti ai lavori e non, che la scena musicale italiana nelle sue mille sfaccettature pecca di novità ed originalità, cosa ne pensi tu che oltre a farne parte, questa scena la rappresenti?
Ma guarda, lo spettro dell’originalità dal punto di vista formale, per quanto mi riguarda, è abbastanza trascurabile. Io mi rifaccio ad una forma canzone che magari è originale nel senso che in Italia non veniva fatta da un po’.
Comunque ci sono tanti progetti che, secondo me, brillano per originalità, poi magari non riescono a fare grandi numeri ma ci sono attualmente.
ti andrebbe di fare qualche nome?
Certo, ad esempio, a me piace molto Io Sono un Cane, che credo sia una forma di cantautorato assolutamente originale sia nella scrittura che nell’aspetto formale. Mi piace molto Alessandro Fiori, Paolo Benvegnù, penso che queste siano delle forme di scrittura d’autore che comunque cercano anche di coniugare questo aspetto con quello di una innovazione dal punto di vista formale. Per quanto mi riguarda, abbiamo cercato, nonostante il nostro progetto sia abbastanza giovane, anche grazie ai ragazzi della band di far si che ad una scrittura, che è la mia, e che è abbastanza all’italiana, si aggiungessero degli elementi di originalità. E se posso dirti la mia, secondo me, nell’ approccio al concerto, al live è una caratteristica importante ciò che facciamo.
Io vedo la cosa nella sua interezza, non solo nell’ episodio del disco ma anche tutto quello che ne segue, ed in questo penso che ci sia una buona dose di originalità.
Tra i vari “Volumi” si denota una evoluzione sia delle trame che degli stili che si succedono. Stai sondando ogni anfratto possibile della musica o sei alla ricerca della tua identità musicale?
Ma sicuramente! E’ ovvio che quando fai un disco nuovo, la cosa che ti preme è cercare di non ripeterti, ovviamente ciò non vuol dire che in ogni album devi fare una rivoluzione copernicana, ma l’intenzione è quella di non ripetersi dal punto di vista musicale e testuale. In questo disco abbiamo avuto anche molto tempo (in realtà ha detto “un fottio di tempo”, ndr) e paradossalmente il disco, secondo me è più istintivo degli altri, cioè meno riflessivo. Dal punto di vista della scrittura ho cercato di prediligere più l’aspetto emozionale che non quello intellettuale, e, a livello musicale c’è stato un bel lavoro con la band, perché siamo riusciti a creare una buona alchimia sonora fra episodi più confidenziali e altri suonati proprio da band. Per me l’interesse è questo, fare qualcosa che mi diverte e stimola e soprattutto non cadere come ti dicevo prima nel cliché del “devi parlare di certi argomenti perché sei un cantautore”, questo lo rifuggo! Voglio che sia un processo spontaneo, voglio dire quello che sto pensando in quel determinato momento! Magari se in un periodo mi va di parlare di storie casalinghe, di cappuccino e cornetto, parlerò di cappuccino e cornetto pigliandomi la responsabilità di questa cosa. Mi ripeto ma mi interessa fare qualcosa che mi stimoli, che mi piaccia e credo che in questo senso i tre dischi siano piccole variazioni di un tema, questo disco qua particolarmente.
Dario, credi di starci riuscendo?
Ma al momento si, speriamo che duri, e soprattutto se ci sono riscontri da parte del pubblico, come sta accadendo, va bene così dai…
…e a quanto pare i sold-out che ti sei lasciato alle spalle parlano chiaro in merito!
Si si infatti, ti ripeto, ho la fortuna di avere un pubblico che mi segue e a cui piace quello che faccio, (comincia a ridere,ndr) quindi un pubblico acritico che soltanto perché mi vuole bene accetta qualsiasi cosa io proponga…
Il cammino di Santiago in taxi, già dal titolo si presenta come un paradosso, infatti il cammino per Santiago de Compostela si percorre a piedi ed è lungo 800 km circa e non in taxi, come fosse una cosa comoda e poco sentita, altro paradosso si ravvisa nel titolo del brano “Maddalena e Madonna”, cosa dovrebbero vederci i tuoi fan in questi forti contrasti e cosa ci vede il suo autore?
In effetti non mi sono posto questa domanda prima di scrivere! Credo che questo disco qua, non sia un disco di affermazione precise, di risposte, è un disco più di domande, contraddittorio come il periodo in cui ho scritto questi testi. Era un periodo in cui mi facevo molte domande e probabilmente questa cosa ha contribuito al risultato: un disco che sia dal punto di vista dei concetti espressi, ma anche musicalmente è rispetto ai precedenti meno monolitico; ha tante sfumature differenti, anche a volte in contraddizione come dici tu. Ci sono pezzi da piano e voce e altri con attitudini assolutamente circensi, quindi mi premeva che non fosse molto mentale, ecco. E’ anche difficile rispondere a certe domande razionalizzando, perché invece il processo era quello di escludere un eccesso di cervello nelle cose che stavamo facendo. Quindi ci siamo presi quello che veniva ma ricercando una coerenza interna che penso ci sia, lasciando anche che il disco esprimesse una cerca contraddizione.
Il precedente album, “Poveri Cristi” già a partire dal titolo racconta di squarci di vite, narrate con la dovizia di un romanziere e, rispetto all’ultimo, che appare più intimo, è diverso nelle musiche e nelle tematiche, cosa è cambiato in Dario Brunori nel tempo intercorso tra un album e l’altro?
Beh, questa è una bella domanda, vorrei avere una risposta anche io!
Ti posso dire che sicuramente per me la scrittura è anche un tentativo di dar risposte a queste domande, nel senso che sono fotografie che tu scatti in un determinato momento e che ti aiutano anche a capire dove ti trovi in un certo tratto della tua vita; quindi le canzoni, se vuoi, esprimono un cambiamento per quello che è. Questo album nasce più in un periodo di solitudine, di grande relax e grande silenzio (hanno inciso l’album in un convento,ndr), è un disco più intimo e confidenziale rispetto a Poveri Cristi, che era invece nato in un periodo in cui mi era cascata addosso sta cosa (la notorietà,ndr), avevamo fatto tanti concerti, avevo visto tanto mondo mai visto prima e volevo parlare, dire la mia con lo sguardo rivolto fuori. Mentre questo è un album scritto con lo sguardo rivolto dentro.
Dario, tu come tutti i cantautori possiedi una spiccata sensibilità ed una parola agile, qualità queste che ben si associano anche alla letteratura, hai intenzione come molti tuoi predecessori di scrivere un libro?
Non sei il primo a chiedermelo, però è una responsabilità grande, non sono uno che fa le cose a cuor leggero e non mi piacerebbe fare una cosa tanto per farla – anche se forse dovrei a volte – però dai ci può stare. Tra l’altro io sono abbastanza pigro, amo la canzone perché rapida ed è il mio strumento prediletto anche per questo: mi sbrigo facilmente e posso condensare quello che voglio dire in poco. Diversamente per il libro ci vuole più tempo, riflessione e dedizione, che in questo momento mi manca. Insomma non lo escludo, per il 2040 lo farò!
Che musica ascolta Brunori? Consiglia qualche brano o album a nostri lettori.
Bon Iver – Bon Iver, Bon Iver (2011),
Nicolò Carnesi – Ho una galassia dentro l’armadio (2014)
Charlotte Gainsbourg – Irm (2009)
Le luci della centrale elettrica – Costellazioni (2014)
Arcade Fire – Funeral (2004)
Un ringraziamento particolare va a Carlo Savoca per avermi aiutato a redigere l’intervista.