Tanworth-in-Arden (Warwickshire, Inghilterra), il 25 novembre di quarant’anni fa: nella casa dei genitori viene trovato esanime Nick Drake, autore di quei malinconici versi che, assieme ad una considerevole abilità con la chitarra, han fatto storia. Causa della morte: un’eccessiva dose di Amitriptilina, un forte antidepressivo preso prima d’andare a letto la notte prima. Drake se ne va via, prematuramente, a 26 anni, lasciandosi dietro tre album –passati nel più assoluto silenzio di critica e pubblico– pubblicati nel giro di quattro anni, arco di tempo in cui vengono fuori canzoni di una bellezza talmente disarmante ed unica da cambiare per sempre quello che sarebbe stato, in seguito, il volto della musica d’autore. Nonostante all’epoca nessuno si fosse accorto di lui, nonostante per anni ed anni la sua musica fosse rimasta in una sorta di limbo tutelato dai pochi fan devoti. Poi la riscoperta e la (solita) tardiva consacrazione da parte di coloro che hanno visto e vedono in lui una fonte d’ispirazione: da Michael Stipe a Kate Bush, da Paul Weller a Demon Albarn, da Tom Verlaine a Robert Smith, da David Sylvian a Kurt Cobain. E ciò, forse, lo si deve anche a due antologie importantissime: “Time Of No Reply”, pubblicata nell’86, e “Way To Blue: An Introduction to Nick Drake”, del ’94. Di quest’ultima vogliamo parlarvi, questa settimana, per provare a colmare un vuoto che perdura da quarant’anni.
Disco d’oro nel Regno Unito (100mila copie vendute), “Way To Blue” viene pubblicato dall’Island il 31 maggio di vent’anni fa. L’antologia si compone di sedici tracce: l’apertura è affidata alla strumentale “Cello Song” mentre la conclusione è delegata ad un capolavoro quale “Fruit Tree”, entrambe facenti parte della tracklist del primo album, “Five Leaves Left”, del ‘69: lo stesso dal quale sono tratti il mal di vivere di “Way To Blue”, la malinconia fatta musica di “River Man” e la solare “Time Has Told Me”. A rappresentanza del secondo album –“Bryter Layter”, del ‘70– ci sono, invece, i romanticismi pop di “Hazey Jane” (parte I e II), il jazz ‘latino’ di “Poor Boy”, la vincente ballata “One Of These Things First” e “Northern Sky”, memorabilmente realizzata con la collaborazione del grande John Cale dei Velvet Underground. Da quello che è considerato l’apice della cifra stilistica di Drake, cioè l’album “Pink Moon”, sono tratte quattro ‘gemme’ –la titletrack, “Things Behind The Sun”, “From The Morning” e “Which Will”– una più bella dell’altra, nell’essenzialità di un album spoglio ed asciutto, forse il più personale e sincero di un Nick Drake che qui si guarda allo specchio, raccontando i suoi dubbi ed i suoi spettri. In quest’album, l’ultimo della sua discografia, la voce rasserenante –che recita testi oscuri– e lo scarno suono di chitarra di Nick Drake fanno brillare “Pink Moon” di una tenerezza soprannaturale ben rappresentata anche nell’antologica raccolta del ’94. Quest’ultima, oltre ai quattordici brani tratti dai tre album già menzionati, trova infine una sorta di completezza con l’aggiunta di due ‘inediti’ –“Time Of No Reply” e “Black Eyed Dog”– precedentemente pubblicati dalla piccola ed indipendente Hannibal Records in “Time Of No Reply”, raccolta risalente all’86.
Il sottotitolo di “Way To Blue” è “An Introduction To Nick Drake”, azzeccatissimo poiché, in effetti, quest’antologia serve ai neofiti per entrare a far parte di un mondo rimasto sommerso per tanti anni. Un mondo che, per essere capito, ha bisogno di approfondimenti attraverso una discografia esigua ma permeata da un alone di leggenda che circonda da sempre l’indimenticato songwriter inglese: bello, triste e che cantava l’amore e la solitudine con la sua voce timida e terribilmente malinconica, accompagnata da quegli arpeggi custoditi da quarant’anni nei cuori di noi fan. Noi che abbiamo avuto la fortuna di ‘incontrare’ –musicalmente– Nick Drake e che abbiam visto cambiare le nostre vite dopo aver ascoltato i suoi dischi.