C'è un tizio che cammina in centro. Basettoni lunghi, ciuffo brillantinato. Cammina disinvolto tra la gente. Giù in Città lo guardano, al suo passaggio si voltano tutti. “Mamma, ma chi è quello?” chiede un bimbo.

Il tizio con fare deciso, procede per la sua strada.

La mamma non risponde, è affaccendata tra mille commissioni. E inoltre, non saprebbe che rispondere.

Dei turisti fermano il tizio. Qualche foto, qualche gesto iconico, qualche battuta.

Un ragazzo scherza: “sembra Elvis”. Accanto a lui, un uomo qualche anno più vecchio.

“No. Il Re è Morto”.

 

Non importa quanto si estenda il suo regno. Anche se raramente esso è tutto il Mondo.

Non importa quanti siano i suoi sudditi, e quanto fedeli. Anche se non è facile che essi siano milioni, e che lo adorino come un dio.

Nemmeno quanto duri quel regno, alla fine, è così importante. Anche se mai questo dura in eterno, anche oltre la sua morte.

Ciò che conta davvero per stimare la Grandezza di un Re, di qualunque re, è il Segno che Egli ha lasciato scolpito nel immensità della Storia al suo passaggio.

Alcuni, Re ci nascono; altri, inevitabilmente, sono vincolati dal Fato a divenirlo.

E la storia ci insegna che sono questi ultimi i più grandi, i più gloriosi, i più potenti.

 

L'8 Gennaio 1935 venne al mondo il più grande Re dei Nostri Tempi.

Elvis Aaron Presley, Sovrano assoluto della Musica, Monarca del RockNRoll.

Nacque nella miseria, in una famiglia di lavoratori precari in balia delle difficoltà economiche.

Morì da leggenda, tanto che molti dei suoi sudditi non si sono ancora rassegnati alla sua fine, continuano a credere che egli sia ancora vivo, nascosto chissà dove, lontano dalle luci della scena.

Tanto che subito dopo quel fatidico 16 Agosto del 1977, iniziarono e proliferarono ovunque le apparizioni di perfetti sosia del Re. Perché il Re era morto, ma la sua Icona, la sua Immagine, la sua Musica, la sua Leggenda. Quella no. Non è morta quel pomeriggio di metà agosto nella sua mitica dimora, Graceland. E non poteva morire. Non può morire. Non potrà mai morire.

E allora, sì, vista così, è vero. Elvis non è morto, e mai morirà. Elvis vivrà per sempre.

 

Vite così brevi, ma così intensamente vissute, raramente ce ne sono state.

Perché nei 42 anni vissuti, di cui più della metà a calcare le scene, riempendo arene e club Americani, e dominando le classifiche di vendita, il Re ne ha viste di tutti colori.

Dagli umili inizi alla Sun Record, alle folli accuse di razzismo; dal successo e le esibizioni in TV alle discordie con le Associazioni Religiose; gli esordi e il successo anche nel Cinema e poi Graceland, gli amori, il servizio militare, e poi quella cerchia di parassiti, la Memphis Mafia.

Tutto questo inframmezzato dagli incontri con altre figure chiave del secolo scorso: come quel pomeriggio del 4 Dicembre '57 quando la Storia della Musica si fermò un attimo ad assistere anch'essa ad una delle collaborazioni più importanti mai avvenute: negli studi della Sun, si ritrovarono più o meno per caso a condividere la sala Elvis, Carl Perkins, Jerry Lee Lewis e Johnny Cash. Leggende del RockNRoll, del Country, della Pop Music. Quel quartetto che passò a ragione alla storia come il Million Dollar Quartet. O ancora, l'incontro con i Beatles che andarono in “Pellegrinaggio” nella sua Graceland, la partecipazione a uno show condotto da Frank Sinatra (che non nascose di nutrire antipatie per il cantante e per la musica da lui proposta), l'incontro con il controverso Presidente Americano Richard Nixon.

Una Vita piena, impossibile da Raccontare senza perdersi, senza risultare banali dinnanzi ad una tale grandezza.

 

E, soprattutto, una Vita di Musica.

Perché sì, Elvis è il Re del RockNRoll, ma non solo. Nella sua vita ha esplorato diversi stili: il Gospel, il Country, il Pop. Fino a creare uno stile unico, che ha dato vita a pezzi energici e scatenati, ma anche a pezzi di una bellezza unica, rara, brani che fanno vibrare le corde dell'animo, che le suonano, grazie soprattutto a quella voce, con quel calore, quella intensità.

Inutile elencare tutti gli Eredi del Re, tutti coloro che hanno reso omaggio con la loro Musica a chi li ha ispirati.

Potrei citare i Beatles. Per John Lennon infatti “Prima di Elvis non c'era niente”.

Potrei citare i Rolling Stones Per Keith Richards: “ Prima di Elvis il mondo era in bianco e nero. Poi è arrivato... ed ecco un grandioso technicolor”.

E non mi voglio dilungare a citare tutti quelli che devono molto al Re, ma alcuni nomi non possono essere omessi: Elton John, James Brown, Bruce Springsteen, i Dire Strais. E tanti altri, troppi. Lasciatemelo supporre, tutti.

Persino nel Cinema, l'Elvis attore ha influenzato personaggi del calibro di John Belushi e John Travolta.

 

Ma è giusto, quando si parla di un Re, dar il dovuto peso al ruolo svolto dalla sua Corte.

Perché nessun Re sarebbe grande, come lo è stato il Nostro, senza le persone giuste intorno.

E' importante citare il produttore Sam Philips, che l'ha lanciato; il cinico colonnello Tom Parker, manager che l'ha portato al successo.

Importantissimo ricorda che Elvis non ha mai scritto nessun brano. E' stato il grande interprete di capolavori scritti appositamente per lui, o di brani da lui portati al successo.

Tra gli autori che hanno collaborato con lui, spicca la coppia Jerry Leiber/Mike Stoller, tra i più prolifici e importanti songwriter dei '50 (Autori anche della famosa Stand By Me di Ben E. King).

Come contributo fondamentale è  stato anche quello di Scootty Moore, mitico chitarrista che ha accompagnato Elvis per ben 14 anni della sua carriera, aiutandolo a definire lo stile che lo consegnò alla storia, e di tutti gli altri musicisti che hanno suonato alla Corte del Re.

 

Trovarsi a scrivere di un personaggio come Elvis, non è facile.

Ci si sente inevitabilmente inadeguati, impreparati.

Perché sono poche le Icone che come lui sono riuscite a marchiare a fuoco non solo la propria Epoca, ma tutte quelle ad essa successive.

Ma soprattutto perché le semplici parole non potranno mai bastare.

L'unico modo per conoscere Elvis, è ascoltare la sua Musica. La sua voce.

E anche qui, non è facile. Come si fa a scegliere solo poche canzoni di un artista che ne ha registrate centinaia, quasi tutte divenute successi planetari?! Non è solo difficile, è impossibile.

 

 

1) That's Alright (Mama) (1954)

Tutto iniziò qui. E' una cover, una reinterpretazione. No, quando a farla è Elvis non si può ridurre a questo. Elvis ridiede nuova vita a un vecchio brano del bluesman Arthur Crudup.

Siamo negli studi della mitica Sun Records, “La conoscete questa?” chiede Elvis agli altri presenti.

E inizia a suonare quello che sarebbe diventato il primo di un'infinita sfilza di successi, brani portati in vetta a tutte le classifiche mondiali dalla calda e passionale voce del ragazzaccio di Memphis.

Un brano blues semplice e diretto, impastato in un sound country (similmente a quanto accadde con la Maybellen di Chuck Berry, ricordate?) che fatto la storia.

Questo è That's Alright Mama, questo è Elvis. Semplice, diretto e intenso.

Il testo è giovanile e goliardico. Il cantante si rivolge ai genitori che gli sconsigliano di continuare a corteggiare quella ragazza. Ma va tutto bene, Mamma.

 

“Mama she done told me,

Papa done told me too

'Son, that gal your foolin' with,

She ain't no good for you'

But, that's all right, that's all right.

That's all right now mama, anyway you do”

 

 

2) Heartbreak Hotel (1956)

Se mi si chiedesse di scegliere una sola canzone per descrivere Elvis... beh, sarebbe un'impresa titanica, ma alla fine sceglierei sicuramente questa.

Quella voce ancora limpida ma allo stesso tempo intensa di un Presley appena adulto, accompagnata dalla chitarra di Scotty Moore, dal basso di William Black e dalla batteria di D.J. Fontana, ai quali si affiancano gli strumenti di due session man, Chet Atkins alla chitarra e Floyd Cramer al piano. Un pezzo lento, intrigante, per il quale gli autori M.B.Axton e T.Durden trassero ispirazione da un avvenimento macabro, il suicidio di un ragazzo che si gettò dalla finestra di un Hotel lasciando scritto su un biglietto “cammino su una strada solitaria” (La Lonely Street che appare nei versi della canzone).

Parla infatti di un Hotel per cuori infranti, unico rifugio per tutti gli amanti delusi e feriti.

 

“Well now if your baby leaves you

and you’ve got a tale to tell,

well, just take a walk down Lonely Street

to Heartbreak Hotel”

 

3) Love Me Tender (1956)

E arriviamo a Love Me Tender. Cosa si può scrivere su Love Me Tender? Non lo so, forse semplicemente non si può scrivere di Love Me Tender. Così bella, così dolce, così romantica. Qualunque parola, qualunque descrizione, è superflua. Ascoltatela, capirete.

La melodia si basa su un brano tradizionale,  Aura Lee.

Fu registrata per l'omonimo film, i produttori del quale non vollero che la band di Elvis presenziasse nella colonna sonora.

Il Re fu dunque accompagnato dal Ken Darby Trio, la band del compositore Ken Darby, principale autore del testo (accreditato come Vera Matson, nome della moglie).

E' una soffice ninna-nanna, uno struggente canto d'amore, reso immenso da un Elvis forse al Top della forma. Nessun'altra voce avrebbe potuto rendere con tanto pathos questo splendida dedica, tenera (come da titolo), semplice, ma non banale.

 

“Love me tender,

love me true,

all my dreams fulfilled.

for my darlin' I love you,

And I always willl”

 

4) Jailhouse Rock (1956)

Parte della colonna sonora de “Il Delinquente del Rock n Roll” (in originale Jailhouse Rock), uno dei principali successi cinematografici del nostro. Ma, col tempo, la canzone ha superato la fama del film, tanto da divenire uno dei brani RockNRoll più conosciuti (e ballati) al mondo. Il riff ha fatto storia, così come lo scatenato ballo che accompagna l'altrettanto scatenato canto di un Elvis in versione galeotto. Famosa anche l'interpretazione da parte della Blues Brothers Band con alla voce John Belushi,  nella mitica scena finale del film “The Blues Brothers” (1980).

Quello che è diventato uno dei brani-simbolo della carriera di Presley, fu composto dalla già citata coppia Leiber/Stoller (autori, tra i tanti brani, anche di un altro enorme successo RockNRoll di Elvis: Hound Dog).

Il testo presenta uno scenario divertente quanto insolito: la guardia carceraria organizza una festa all'interno della prigione, e la band, composta da detenuti, da vita ad un party in cui la parola d'ordine è solo una: Everybody Let's Rock.

 

 

“The warden threw a party in the county jail,

the prisonband was there and they began to wail,

the joint was jumping and the place began to swing;

You should have heard those knocked out jailbirds sing:

Let's rock, everybody let's rock,

Everybody on the whole cell block:

They was dancing to the jailhouse rock”

 

 

 

La storia, Elvis l'ha fatta soprattutto negli anni '50, negli anni alla Sun Records, periodo d'oro del RockNRoll tutto, e del suo Re in particolare.

Ma anche nel ventennio successivo ha continuato a sfornare successi planetari, di cui, seppur essi non abbiano potuto esercitare influenza su un genere ormai nato e formato come il Rock degli anni '60/'70, e pur coincidendo con il declino psicofisico dell'artista, vale la pena menzionarne almeno due per comprenderne a pieno la caratura artistica.

 

5) In the Ghetto (1969)

Basterebbe citare “In the Ghetto” per mettere a tacere tutte le immotivate accuse di razzismo rivolte nei decenni ad Elvis. Un pezzo socialmente impegnato, triste, malinconico. L'anima Gospel di Elvis viene fuori, afflitta, cantando della vita disagiata e dura nei ghetti neri americani.

Il bellissimo testo, scritto dall'autore Mac Davis, è una dura accusa nei confronti della cieca società che condanna la delinquenza senza preoccuparsi della radice del male, rappresentata dalla fame e dalla disperazione nei quartieri più poveri, abbandonati alla propria sorte (nello specifico, appunto, i ghetti neri). Tale mancanza di interesse da parte di un mondo che continua ad andare avanti, indifferente ed insofferente, dà vita a un circolo vizioso (il titolo originale del pezzo era infatti “The Vicious Circle”) che fa sfociare la fame e la disperazione nella criminalità che affligge i ceti più bassi.

Interpretata dal Re, si traduce in una profonda richiesta di aiuto per i più deboli.

 

“Well the world turns,

and a hungry little boy with a runny nose ,

plays in the street as the cold wind blows,

In the ghetto,

and his hunger burns,

so he starts to roam the streets at night,

and he learns how to steal ,

and he learns how to fight,

In the ghetto”

 

 

6) Always on My Mind (1972)

L'ultimo vero successo di una carriera leggendaria, di un mito, che ha mutato profondamente le radici non solo della Musica, ma della Cultura e della Società tutte. Scritta per lui da J.Christopher, M.James e W.Carson, anche se pubblicata per prima dalla cantante Brenda Lee. Un'altra interpretazione nota è quella in veste Dance dal duo Pet Shop Boys.

Le parole del pezzo delineano un ultimo romantico, disperato, tentativo di riconquistare un amore perduto.

Ironia del destino, la sua pubblicazione precedette di pochi mesi la definitiva rottura tra il cantante e l'amata moglie Priscilla, fatto che contribuì molto probabilmente al delinearsi della depressione che accompagnò Elvis nei suoi ultimi anni di vita.

E' una bellissima poesia che va solo ascoltata, o al limite letta. Inutile commentarla oltre.

 

“Maybe I didn't hold you all those lonely, lonely times,

and I guess I never told you: 'I'm so happy that you're mine'.

If I made you feel second best, I'm so sorry, I was blind:

You were always on my mind,

You were always on my mind”

 

 

LA COVER: Junkie XL – A Little Less Conversation (Remix)

Uno dei pochi casi (l'unico?) in cui un brano di Elvis è stato eguagliato, o mi si conceda l'eresia, addirittura superato in fama da una sua rivisitazione, per di più in chiave dance.

Ma chi non conosce il mitico remix del DJ Big Beat Junkie XL, pubblicato nel 2002?

Un remix che non tradisce l'anima del brano originale, ma al contrario la restaura, donando nuova energia ad un RockNRoll scatenato, ri-ballato in tutto il mondo grazie a questa sua rivisitazione.

Il remix ha raggiunto la fama mondiale grazie al suo utilizzo nello Spot dei Mondiali di Calcio del 2002.

 

 

Elvis è stato tutto questo. Il suo modo di esibirsi, la sua vicenda personale. La sua musica. Ma soprattutto il modo di interpretarla quella musica, con la sua voce, con la sua anima.

La grandezza di questo Re, il segno che egli ha lasciato, è stato il dimostrare che, in fondo, la musica non la si fa solo con la tecnica, o col genio. La musica, quella vera, la si fa soprattutto con l'anima e il cuore. La musica che da emozioni, che ti entra dentro, che ti scuote.

E di questo, Elvis, te ne saremo sempre grati.

Long Live The King, Long Live RockNRoll.

 

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