È il 4 Maggio, già 3 giorni sono passati dal Revolution Day, e non potevo esimermi dal fare una riflessione su ciò che è accaduto sopra (e sotto) quel palco.
I Twisted Head Chaps hanno imbracciato i loro strumenti non prima del tramonto e chi li attendeva sa benissimo che le aspettative sono state più che appagate. Un trionfo di qualità e passione che ha colpito dritto all’anima tutti quelli a cui non basta mettere un paio di cuffie e schiacciare play per sentirsi in pace, ma che sanno trovare il giusto nutrimento nella musica a cui il cuore batte, quella che si può ancora improvvisare, quella che respira e che solo il live può concederti. Non importa se si tratta del blasonato gruppo di turno o della band emergente di cui non conosci i brani, ciò che conta è che da quel palco si diffonda l’onda giusta. Con i Twisted Head Chaps si è conclusa al meglio una giornata speciale perché profondamente intrisa di rock, del suo spirito autentico. Una giornata che ha visto avvicendarsi tante band di grande talento, ognuna con la sua personalità, che hanno reso il Revolution Day (quest’anno più che mai) il giorno dell’arte, del piacere della condivisione, dello stare insieme, dello spettacolo del sole in faccia ad occhi chiusi, del cuore aperto, del vento che rinfresca.
Ho sentito dire che il rock è morto. Beh, di sicuro non c’è vita in chi non ha fame di scoperta, in chi ha perso curiosità e non ama la ricerca, anche quella più faticosa. Ci si rinchiude in strane convinzioni e assolute certezze che tengono ben lontani da ciò che del rock ne è l’essenza, un’essenza che non si imprime nell’anima con la stessa facilità con cui spesso si imprimono vuoti disegni sulla pelle.
Il rock è morto? Venite a dirlo alle band che hanno suonato su quel palco, venite a dirlo ai Twisted Head Chaps!
Chi era lì sa che il suo spirito è ben vivo! È solo che forse in alcuni non è mai realmente nato..
Vi riproponiamo allora la nostra intervista alla band Catanese!
Alzi la mano chi era all’Hangar22 il 7 Marzo scorso! Ve li siete goduti questi tre giovanotti? E, tutti gli altri, non disperate, a breve ci sarà un’altra ghiotta occasione per recuperare la mancanza. Già, perché i Twisted Head Chaps fanno parte della line-up annunciata per il Revolution Day, stessa ricorrenza delle scorse edizioni, stessa spiaggia e stesso mare.
Noi abbiamo voluto approfondire un po’ la loro conoscenza. Sapevamo già che il cantante e bassista Nunzio Sofia, il chitarrista Carmelo Sidoti, e il batterista Gaetano Riolo, sono tre giovani amici catanesi che si conoscono dai tempi del liceo e che hanno deciso di mettere in piedi la loro band nell’ottobre del 2014. In poco tempo sono riusciti a realizzare “Flash Jokes”, un Ep contenente 5 interessanti tracce con cui i “tizi dalla mente contorta” si presentano al pubblico e lasciano intendere che varrà certamente la pena continuare a seguirli.
Ma noi vogliamo saperne di più, per questo li abbiamo invitati a soddisfare alcune nostre curiosità.
Ciao ragazzi, eccoci, dopo aver ascoltato e riascoltato il vostro primo lavoro sono felice di cogliere questa occasione per parlare un po’ della vostra musica, del vostro Flash Jokes, delle vostre scelte, insomma per parlare di voi.
Innanzitutto ringraziamo la vostra neonata rivista per l’entusiasmo verso il proprio lavoro e l’interesse nei confronti della musica emergente. Siamo molto felici di poter fare questa chiacchierata e di esser letti dai vostri lettori. In particolare, grazie a te, Maria, per il supporto e la gentilezza.
Scherzate? Con voi è stato amore a primo ascolto. Partiamo subito dalla copertina del vostro Ep, che mi ha molto incuriosito, mi fa pensare un po’ a The Dark Side of The Moon, voi invece a cosa pensavate quando l’avete scelta?
Siamo costretti ad anticiparti che in questo momento stiamo per produrre le copie fisiche e stiamo cambiando la copertina, quella nuova sarà quella ufficiale. Possiamo comunque soddisfare la tua curiosità. Abbiamo scelto una “luna bugiarda”, una luna che sembra decrescente ma in realtà è crescente, come riferimento a tutto ciò che più o meno racconta l’Ep, ovvero storie e personaggi in continua contraddizione, tendenti al no sense. Delle cose-persone che nel loro essere non corrispondono mai al loro apparire.
A proposito di questi personaggi in continua contraddizione, c’è qualche testo nelle vostre canzoni che si può definire autobiografico?
Più o meno lo sono tutti, ma non nel senso puro del termine. I testi esprimono un flusso di coscienza che può assumere diverse sfumature ed interpretazioni. Una serie di immagini che legandosi tra loro si trasformano, delle idee che prendono forma dalle note su cui poggiano. C’è sempre un po’ di noi nei personaggi e nelle storie descritte nei testi. La psichedelia è la colonna portante: da una figura descritta nasce un’emozione personale, che rimane dentro chi ascolta permettendole di rimanere autentica.
Per me che non sono del mestiere c’è sempre stata la curiosità di sapere come nascono le canzoni. Nel vostro caso, oltre alla scelta di concepire in lingua inglese, sono le parole che si adattano alla musica o la musica accompagna un testo già pressoché definito?
Quando si abbozzano i primi fraseggi di voce, al cantante (Nunzio) viene subito spontaneo improvvisare delle parole in inglese. E’ quasi una questione puramente istintiva che si accosta alla nostra idea secondo la quale determinati generi musicali non si prestano alla lingua italiana. In particolare, non riusciamo ad immaginare un’altra lingua al di fuori dell’inglese per i nostri pezzi. Quindi, si, sono i testi che si adattano inizialmente alla musica per poi prendere una forma propria.
Avete parlato del vostro Ep come di un lavoro che non vedeva l’ora di venire alla luce, se ho capito bene molto era già stato generato prima ancora della vostra unione. È rimasto qualcosa di incompiuto che tenete in caldo per il prossimo progetto?
Si, c’era molto materiale che era già stato scritto da anni: canzoni ormai pronte, riff o anche semplici bozze. Quando ci siamo riuniti in sala abbiamo iniziato questo lavoro di catalogazione e di produzione, rendendo “nostro” tutto ciò che era stato scritto prima singolarmente. L’80% dell’Ep è nato dalla messa in comune di materiale grezzo già scritto e vissuto per anni. Prima di entrare in studio, abbiamo selezionato 5 brani da proporre con l’Ep. Tutto il resto del materiale inedito, che non figura nell’Ep, viene riproposto live. Non ci fermiamo mai e già stiamo lavorando su tanta nuova roba che proporremo live in un futuro prossimo.
Il vostro primo lavoro è piaciuto parecchio, non ho ancora letto una recensione negativa su Flash Jokes, e anch’io devo ammettere che sono rimasta piacevolmente colpita da queste 5 tracce. Voi però siete stati veramente caparbi nel promuovere il vostro Ep e questo vi ha permesso di attirare l’attenzione e di avere maggiore visibilità. È stato più impegnativo creare dal nulla il vostro progetto o combattere la pigrizia del pubblico e il suo disinteresse per le novità?
E’ molto più impegnativo combattere la disattenzione del pubblico. Al giorno d’oggi tutto è mainstream e la gente presta attenzione, nella stragrande maggioranza, solo a ciò che viene proposto dai canali maggiori. Dal 2007, e forse anche prima, la crisi economico-finanziaria ha tirato con sé anche un degrado sociale e culturale. E’ una crisi di stile che tocca tutti gli ambiti, dalle arti alla politica. Ci vuole coraggio per scommettersi e rimanere fedeli alle proprie vocazioni, cercando di non piegarsi a questa corrente standardizzante che tutto trascina. Certo, non mancano le proposte artistiche valide, soprattutto nella musica indipendente, anche in quella italiana. Ci sarà tanta concorrenza, ci sarà tanta musica alle nostre spalle, sarà sempre difficile proporre qualcosa di nuovo e autentico ma un pubblico pigro non sarà mai propenso e attento quanto un pubblico curioso.
Noi siamo desiderosi di ricevere critiche, perché la critica, positiva o negativa che sia, è frutto dell’attenzione. Quando si esprime una critica significa che dietro vi è stato un ascolto e la nascita di un giudizio. Essere apprezzati da ogni singolo ascoltatore è pura follia ma raggiungere più ascoltatori possibili è l’obiettivo di un artista. I pareri del pubblico, degli esperti, dei critici sono pan per i nostri denti.
Voi siete catanesi, la vostra band è nata a Catania, Flash Jokes è stato concepito e realizzato qui. Dal punto di vista artistico, cosa amate di questa città, e per cosa invece la detestate
Crediamo che il rapporto d’amore e odio nei confronti di Catania sia ormai un sintomo comune per molti dei suoi cittadini. Ci si potrebbero scrivere interi saggi ma concentriamoci più sull’aspetto musicale (che rimane comunque correlato a tanti altri ambiti). Catania non è più la Seattle d'Italia degli anni ’90 e il degrado diffuso veste le sue strade. C’è poco spazio per la musica inedita, non vogliamo puntare il dito solo sui gestori dei club che fanno il loro mestiere, cioè vendere al pubblico dei servizi. Il discorso torna ad essere quello precedente: la gente è poco interessata, un’alta percentuale preferisce i dj set alla musica live. Questo non toglie il fatto che ci sono poche ma buone realtà che propongono la musica live e che cercano di fare i conti con l’utenza in maniera intelligente.
Sembrerebbe allora un problema non prettamente siciliano, piuttosto una condizione più generale
Un problema globale, senz’altro. Una crisi generale per un mondo globalizzato dove tutto tende ad eliminare le sacre differenze, considerandole come pericolose, a standardizzare, a velocizzare e a intorpidire le facoltà di giudizio. Un argomento troppo grande e complicato, purtroppo.
Già, e anche parecchio triste. Riprendiamo a parlare di belle cose. Vi seguiamo, e abbiamo notato qualcosa che ha a che fare con le “messe in scena”, cosa sta bollendo in pentola?
E’ nata l’idea in collaborazione con lo Studio Dupin, lo stesso studio dove è stato registrato, mixato e masterizzato l’Ep, di girare un piccolo cortometraggio che rappresenta uno dei nostri personaggi, il “Mad man bent mime” ( il mimo pazzo e storpio). La produzione esecutiva e la regia sono di Fabio Trombetta ed il corto è stato girato nelle zone di Siracusa. Non anticipiamo altro, speriamo che venga alla luce molto presto.
Devo dire che, per essere una band di formazione così fresca, c’è molta sinergia tra di voi, si avverte ascoltando il vostro Ep e sono certa che ne avrò la conferma dal live. Voi però avete precisato più volte che il vostro valore aggiunto sta proprio nella diversa crescita musicale che avete intrapreso singolarmente e che oggi avete saputo far maturare insieme. Esattamente quali sono questi percorsi individuali?
Si è vero, veniamo tutti e tre da percorsi musicali differenti e questo non ha eretto dei muri tra di noi ma, bensì, un punto d’incontro che ci ha arricchito. Tutto parte da quella che per noi è la matrice fondante di tutto: il Delta Blues. Può sembrare sepolto nel nostro sound ma in realtà permane come collante che tiene ben saldo tutto: dai ritmi isterici indie, allo stile disperato della voce, alla potenza del rock sino alle folli ventate psichedeliche. Tutto si fonde in un unico sound che sentiamo molto come nostro.
Quindi, se mi trovassi in macchina con voi, che cd ci troverei dentro?
Troveresti tanti dischi diversi secondo chi è il proprietario dell’auto tra noi tre. Immaginando un furgoncino pronto a partire in tour, troveresti di certo qualche disco di Beatles, Pink Floyd e Led Zeppelin, “Ok Computer” dei Radiohead, “An Awesome Wave” degli Alt-J, qualche disco di Charles Bradley e poi raccolte fatte in casa dove puoi trovare di tutto, da Ry Cooder, da Buena Vista Social Club a Jake Bugg. E chissà quant’altro, troppi dischi da elencare. Justin Bieber no.
Meno male! Di solito siete più agitati all’idea di dover parlare di voi e della vostra musica, magari durante un’intervista in radio, o vi batte più forte il cuore prima di salire su un palco per far respirare questa vostra musica davanti a un pubblico?
Sono sicuramente due situazioni ed emozioni diverse. Per noi il palco è come affondare le mani nella vita e per un attimo afferrarla e scuoterla da padroni. Sentire le note sature di chitarra, i bassi che ci fanno tremare, i ritmi incalzanti della cassa e del rullante che ci fanno battere il cuore… è come una droga. In questa cornice c’è pure il pubblico come protagonista: cosa c’è di meglio di poter portare la propria musica alla gente, ascoltarla, sentirla, condividerla insieme? Mentre sei sul palco, magari vedi qualcuno che sorride o che batte il tempo e ti rendi conto che nessun minuto, speso per la musica, è andato sprecato. Le interviste in radio sono tutt’altra stoffa. Lì si parla, si passa un pezzo e si torna a parlare. Certo, si tratta sempre di comunicazione ma di tutt’altro tipo; ed è comunque bello e interessante, soprattutto perché in queste occasioni possiamo condividere i nostri pensieri, le nostri posizioni e magari raccontare anche le nostre esperienze come band.
Immagino siate soddisfatti dell’impatto che ha avuto fino ad ora Flash Jokes, mica male come esordio. Anche la nostra rivista è appena nata, siamo quelli con le dita sporche che hanno appena iniziato a macchiare di passione queste pagine, ne abbiamo tante ancora bianche. Immaginate di prenderne una da usare come un portafortuna, esprimete il vostro desiderio o la vostra speranza per il vicinissimo futuro...
Il nostro desiderio più grande è quello di poter continuare a suonare la nostra musica, continuare e non fermarci mai. A questo abbiamo votato anni delle nostre vite, ora più che mai.
E noi ve (e ce) lo auguriamo. Vi porteremo bene, fidatevi!
Siamo arrivati alla fine di questa chiacchierata e posso confidarvi di essere stata colpita positivamente da questi ragazzi, dalla loro arte ma anche dal loro spirito, dal loro stile e dalla loro personalità. È bello sapere che sotto il mio stesso sole prendono forma realtà interessanti per la musica… e non solo.