Erano tempi duri.
La vita di ogni uomo era appesa un filo, quasi non valesse.
Pagava di più la morte, spesso al prezzo di una taglia.
Erano tempi per duri.
Uomini impenetrabili, solitari, inquietanti; con le gote all’essenza di cigarillo e il baffo al sapor di whisky.

“I’m Outlaw Pete, can you hear me? Can you hear me?” (Bruce Springsteen)

Gente di poche, pochissime parole.
Nel Selvaggio West poco importava chiamarsi; contava essere veloci, precisi; di mente e di mano, col fucile e con la pistola: il nettare della sopravvivenza.
Il genere umano era allo stato brado: nessuna legge, nessuna regola, nessuno scrupolo o moralità.
Lì alla frontiera, al confine tra i futuri Stati Uniti e il Messico, tra Texas, New Mexico, Arizona e California.  Per quasi tutto l’800.
Lì, nella terra di fuoco che ha segnato un’epopea.
Lì nel delicato passaggio tra sogni e bisogni.
Grosse carovane percorrevano lentamente abbondanti lunghezze per alimentare i commerci.
Faticosi viaggi erano affrontati da mandrie assetate insieme ad istrionici Cow Boys: in America ne fecero pure una serie televisiva di nome Rawhide; il famoso motivetto divenne poi un conosciutissimo tormentone…

Rollin’ rollin’ rollin’ , Though the streams are swollin’ , Keep them doggies rollin’, Rawhide… (Blues Brothers)

Il mondo enigmatico e tremendo trovò landa fertile nella spettacolarizzazione del cinema.
Il Western americano di film alla Mezzogiorno di Fuoco o Sentieri Selvaggi, lasciò spazio ad una vincente accoppiata italiana di ex compagni di classe che immortalò il Far West come mai nessuno aveva fatto: Sergio Leoneed Ennio Morricone.
Frullato di geni. Regista e compositore, musica e immagini, occhio e orecchio, intelletto e follia.
Sono scene e motivi che autografarono la storia.

Indimenticabile il triello finale ne “Il buono, il brutto e il cattivo”: un cimitero sperduto nel Nuovo Messico, un tesoro sepolto in una tomba senza nome, i primi piani orizzontali degli occhi incendiati di Tuco, del Biondo e di Sentenza, accompagnati da una melodia memorabile che fa esplodere la tensione.
La cosiddetta “Trilogia del dollaro” ( Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono, il brutto, il cattivo (1966)segnò l’inizio di una cooperazione che toccò il culmine solo un paio di anni dopo.

Era il 1968, l’anno di “C’era una volta il West”.

Sergio Leone, dopo aver dipinto ogni particolare, chiuse il cerchio: la fine del mito.

Ecco la ferrovia, simbolo della modernizzazione, e soprattutto la figura della donna(interpretata da una straordinaria Claudia Cardinale) a trapassare il mondo burbero e spietato di bandidos a cavallo assetati di sangue e denaro.
Ennio Morricone accompagnò il triste congedo con una colonna sonora nostalgica da pelle d’oca; la voce del soprano sembra far scorrere in sequenza emozionale tutte le pellicole precedenti.
Il lungo addio coincise con la proiezione verso un futuro roseo di civiltà e di sviluppo, come quello che vissero gli appena nati Stati Uniti a ridosso del Novecento.

Una modernità che talvolta ai giorni nostri è sfociata nel degrado.

 

Once upon a time in the west”; proprio così i Dire Straits hanno titolato un pezzo del loro album Communiquè nel 1979.
Un ironico accostamento che sottolinea come basta poco all’uomo per fare un passo indietro, per ricadere nei vizi già conosciuti, nel passato che non ha insegnato.
E rituffarsi nel vecchio West bestiale e rudimentale ; non quello fittizio e fascinoso di Leone.
Preferiamo tenerci stretta l’immaginazione.
Viaggiatori solitari nei deserti dell’anima; whisky e cigarillo, sguardi incazzati.
E i suoni di Morricone nel cuore.

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