Quando ti ritrovi a scrivere del nuovo disco del tuo artista preferito (di cui conosci tutti i limiti come musicista... ma al cuor non si comanda, dicono) devi scindere due tipi di sentimenti contrastanti. I sentimenti del fan, e i sentimenti del critico.

Ciò vale ancor di più se, l'artista in questione, è uno di quelli dei quali si dice, a ragione, che “o lo si ama, o lo si odia”.
E nel caso del mancuniano Noel Gallagher, il divario tra odio ed amore è più che mai accentuato.
Per noi fan Noel è una sorta di (mi si consenta la stra-utilizzata metafora) Re Mida: tutto ciò che passa dalla sua mente alla sua penna e, quindi, alla sua chitarra, è oro.
Per i suoi detrattori è uno stronzo arrogante, uno strimpellatore senza tecnica, un provocatore senza causa... un idiota, insomma.
Non esistono vie di mezzo. Genio o stronzo. O forse entrambi?

Di lui, come di suo fratello, le cronache non mancano mai di parlare.
Negli ultimi anni soprattutto, più che per la sua musica, per le sue frequenti dichiarazioni dissacratorie nei confronti di colleghi e non, che non mancano mai di rispondergli.
Per Noel, tutti tranne se stesso fanno schifo. E non ha mai avuto problemi a dirlo. Che stronzo.
Le sue ultime (cronologicamente) vittime sono state Ed Sheeran e Alex Turner. Che genio.
Lo amiamo anche per questo suo non aver peli sulla lingua, mai.
Per questa sue cruda e grezza genuinità ed ingenua e genuina arroganza.
E chi lo odia, lo odia (anche) per questo.

Ma quello che conta è quando a far parlar di Noel è la sua musica.
Lo scorso 2 Marzo è uscito, a quattro anni di distanza dal debutto solista dell'ex-Oasis, il suo secondo Long Playing: Chasing Yesterday.
Composto da 10 tracce, e anticipato da due singoli, il disco è stato registrato con la band che supporta il chitarrista sin dal primo disco solita, gli High Flying Birds.
Ricco di aspettative, il me-fan si appresta all'ascolto, sperando di riuscire ad ascoltare l'imparziale parere del me-critico.

Apre l'album Riverman, che riprende il discorso da dove si era interrotto nel 2011. Un pezzo godibilissimo, forte del solito refrain d'effetto, marchio di fabbrica del maggiore dei Gallagher.
La ricetta sembra invariata negli ingredienti, ma perfezionata.
Chitarra ed orchestrazioni (a tratti stucchevoli e di troppo) si amalgamano nel sound che ha contraddistinto la produzione post-Oasis del nostro, condite, novità assoluta nel suo songwriting, da brevi assoli elettrici di ispirazione rock'n'blues.
La seconda traccia, In The Heat of the Moment, è il primo singolo estratto. E' un pezzo allegro e orecchiabile, dai riecheggi beatles-iani, pensato per una massiccia rotazione via radio. Segue The Girl with X-Ray Eyes, il cui arrangiamento riporta alla mente The Masterplan. Forse il pezzo più debole, ma non per questo brutto.
La punkeggiante Look All the Doors che risale addirittura al 1992 (non viene infatti difficile immaginarla cantata dal fratello Liam) precede The Dying of the Light , a mio avviso il momento più intenso: la si conosceva già come demo leak, versione acustica trapelata dai meandri del web da qualche anno, e nella sua veste definitiva non perde la poeticità che ne fa, di fatto, la tipica gemma noeliana del disco.
Rilassa The Right Stuff, che si distingue per il suo atipico ammiccare all' R&B, prima di ritornare, sul finale, sui binari del Britpop. Introduzione di archi per le atmosfere sognanti di While the Song Remains the Same, pezzo contenente il verso “We get love, get lost and end up chasing yesterday” che battezza il disco. E' invece un inedito Gallagher in salsa Blues Rock (E no, non è Rory!) che scopriamo in The Mexican, brano ruvido e massiccio, come è anche You Know We Can't Go Back, più tendente al Rock N Roll, che, a discapito del titolo, sembra riportarci dritti indietro negli anni '90, epoca d'oro del rocknroll da college!
Chiude l'album in bellezza l'altro singolo estratto, The Ballad of the Mighty I. Orchestra e piano si intrecciano su un giro di basso dal sapore funky, e un ritornello come quelli a cui ci ha sempre abituati The Chief, e che non sono mancati nemmeno nel corso di quest'ultima fatica in studio: bello, emotivamente carico, poetico nella sua semplicità.

Menzione speciale per le 3 Bonus Track dell'edizione Deluxe, Do the Damage, Revolution Song  e Freaky Teeth, splendidi brani inspiegabilmente esclusi (come avveniva del resto per ¾ dei pezzi migliori degli Oasis) dall'album.

A conti fatti, il me-fan e il me-critico, hanno trovato un accordo.
Accettiamolo. Gli Oasis si sono sciolti, ormai da quasi 6 anni. Non ci saranno mai più (spero, ahimè, di sbagliarmi) un'altra Masterplan, o Wonderwall, o Don't Look Back in Anger, o Live Forever.
Ma quando porti sulle spalle il carico di certi capolavori, le aspettative saranno sempre troppo alte per essere del tutto soddisfatte.
E Noel sembra esserne amaramente consapevole quando, in episodi pur innegabilmente validi come Riverman o The Dying of the Light, non può evitare di ricadere nel tranello.
Di riprovare a fare quello che ormai è già stato fatto, da lui stesso, ma 20 anni fa.
Chasing Yesterday è un bel disco. Senza particolari meriti, nel suo affannoso tentativo di distaccarsi dell'ingombrante passato, si rivela più maturo del precedente Noel Gallagher's High Flying Birds.
10 tracce che non faranno la storia della musica, e che non procureranno nuovi fan al signore del Britpop.
Ma, per chi fan lo è già, e lo è sempre stato, in fondo, va bene così.
10 tracce che entreranno nei nostri cuori.
Perché a noi, in realtà, Noel non deluderà nè stancherà mai.

Su questo sito usiamo i cookies. Navigando accetti.