Primavera 1964: Il ‘Times’, famoso quotidiano britannico, pubblica un articolo sui violenti scontri tra rockers emods. I primi sono i rappresentanti di una subcultura correlata ad un particolare abbigliamento in pelle e all’uso di motociclette, i secondi fanno invece parte di un movimento legato al vestire elegante e al gironzolare in Lambretta. Un esponente di quest’ultimi, il ‘mod’ Pete Meaden, incontra una giovane band, gli High Numbers, che di lì a poco tramuta nel più importante fenomeno musicale del momento, grazie anche agli svariati passaggi radiofonici del loro primo ed unico 45 giri: “I’m The Face” (rivisitazione di un classico del bluesman Slim Harpo). Poi arrivano i primi problemi: gli High Numbers non si sentono affatto ‘mod’, vogliono abbandonare le covers in favore di materiale originale, hanno appena conosciuto due registi di successo –Kit Lambert e Chris Stamp– alla ricerca di band talentuose per un nuovo film. Ed in particolare vogliono riappropriarsi del loro primo nome per firmare, nel gennaio 1965, il loro contratto con una vera casa discografica: la rinomata, statunitense, ‘Decca’.
Buona parte di chi sta leggendo ha già capito che stiamo parlando delle origini degli Who, ovvero degli inizi di una storia alla quale non è mai stata posta la parola ‘fine’. Altri, i più giovani, forse non sapranno nemmeno che stiamo parlando della stessa band autrice della rinomata sigla (“Who Are You?”, 1978) di “C.S.I.”, serial televisivo seguitissimo –dalle nostre parti– sin dal 2002. Gli Who –che hanno dunque significati diversi per diverse persone, per diverse generazioni– si sono posti in rilievo come un incancellabile marchio legato ad una storia che è, in pratica, un elenco di imprese tutte portate a compimento e che nessun’altra band può vantare… Ma torniamo a quei primi giorni degli Who, a quei giorni in cui i quattro componenti –Roger Daltrey (voce), Pete Townshend (chitarra), John Entwistle (basso) e Keith Moon (batteria)– sono pronti a realizzare, finalmente, la loro musica…
Agli inizi del 1965 esce il primo singolo originale, “I Can’t Explain“, che fissa una volta per tutte l’addio al fenomenomod e ‘battezza’ gli Who band selvaggia, eccentrica e sfacciatamente british. Caratteristiche immediatamente confermate dalla pubblicazione del secondo singolo “Anyway, Anyhow, Anywhere” e da una prima apparizione televisiva al Ready, Steady, Go!, storico show che vede Townshend&Co, distruggere –alla fine dell’esibizione– i propri strumenti, catturando l’attenzione dei giovani telespettatori e suscitando le ire dei benpensanti dell’epoca. Ma il singolo che fa davvero il “botto” è il terzo –”My Generation“– che, grazie forse anche al verso ‘I hope I die before I get old’ (‘Spero di morire prima di invecchiare’), diventa l’inno di una generazione che sfoga in maniera rivoluzionaria la propria rabbia contro il mondo degli adulti. “My Generation” è un brano distorto, rumoroso e con un basso predominante, una voce nervosa ed un finale a dir poco esplosivo –per via della devastante performance di chitarra e batteria– che manda il brano in vetta a tutte le classifiche. Sulla scia del successo di questo e degli altri due precedenti singoli, gli Who si chiudono in studio e registrano il loro LP di debutto –che vedrà la luce nel dicembre 1965–, intitolato come il loro 45 giri di maggior successo: “My Generation”.
L’album è, in pratica, il risultato dei primi anni di attività della band e raccoglie l’iniziale passione per le cover di branisoul e R&B (vedasi le tracce “I Don’t Mind” e “Please Please Please“) ed il successivo approccio aggressivo (ampiamente manifestato in “Out In The Street” e nella già nota “My Generation”); sono poi evidenti certe ammirazioni per Beatles e Rolling Stones in brani come “La La La Lies“, “The Kids Are Alright” e “A Legal Matter”. Grazie alla loro imprevedibile sezione ritmica, gli Who si permettono inoltre il lusso di ‘riscrivere’ il beat (“Much Too Much“) o di avventurarsi in territorio psichedelico (“The Good’s Gone” e la strumentale “The Ox“).
Il primo album degli Who è dunque la testimonianza storica –sfrontata ma con stile– della nascita di una delle più grandi band britanniche che, superate le iniziali ed irriverenti sonorità pseudo-beat (“My Generation” del 1965, “A Quick One” del 1966 e “The Who Sell Out” del 1967), avrebbe intrapreso nuovi percorsi sonori e complesse partiture come quelle delle opere rock “Tommy” (1969) e “Quadrophenia” (1973), nate dalla mente visionaria di un inarrivabile Pete Townshend. Da qui il suggello alla grandezza di una band leggendaria e commemorata per performance incendiarie ma anche per liti furibonde (famose quelle tra Daltrey e Townshend) e, purtroppo, per due grandi tragedie: la morte di Keith Moon, avvenuta nel settembre 1978, e quella più recente di John Entwistle, del 2002…
Per chi volesse recuperare la discografia fondamentale degli Who è da poco partita l’iniziativa editoriale del gruppo “Repubblica/l’Espresso” che vede la pubblicazione dei loro album ufficiali, a partire proprio da “My Generation”.