“Dove stai andando?”

“A vedermi i Rolling Stones”

“Bii, ancora ca sonanu chisti?”

 

Mia nonna non ha tutti i torti, in fondo. Ogni anno, ogni decade, ogni mezzo secolo, non si può fare a meno di chiederselo. Ma per quanto tempo ne hanno ancora? Per quanto tempo hanno intenzione di continuare a girare il mondo sopra ad un palco? Ogni volta sembra l'ultima... e poi...

 

L'ho visto coi miei occhi. Se non dipendesse da limiti biologici, ne avrebbero per sempre.

 

C'era Woodstock, il Vietnam, la Summer of Love; poi la Guerra Fredda; nascevano il punk e l'heavy metal; la caduta del muro, il mondo che veniva collegato da Internet; poi la guerra del golfo e le Torri Gemelle. E ancora, l'era dei social network e dello streaming. 12 Olimpiadi e 12 Mondiali di calcio. Mezzo secolo di storia, Mezzo secolo di Rock'n'Roll. E ancora sembrano avere 20 anni. Il mondo è cambiato. I Rolling Stones no.

 

A parlare con un imberbe Jagger a fine anni '60, come testimonia un'intervista dell'epoca, se le cose avessero continuato ad andare in quel modo, alla grande, avrebbero potuto continuare “addirittura” un altro paio di anni. Beh, ora possiamo dirlo: Mick, sono andate alla grandissima.

 

Sono le 05:00 di Domenica, 22 Giugno 2014. Il cielo su Roma, inizia a schiarirsi.

Dopo una nottata in giro, stendiamo finalmente i nostri teli da mare, e con lo zaino al posto del cuscino, ci concediamo quelli che sappiamo già essere gli ultimi momenti di riposo della giornata. Attorno a noi, non più di duecento persone. Siamo davanti al Circo Massimo, e l'aria che si respira non è quella dei grandi eventi, no. E' quella degli eventi unici.

 

La zona è blindata da due giorni, forze dell'ordine schierate in tutto il circondario già dalla sera prima, linee di metro e bus deviate. Roma si prepara ad accoglere i Rolling Stones.

 

Dopo ore di stremante attesa, sotto il cocente sole infuocato della Capitale; dopo la canonica corsa per accaparrarsi i posti migliori, finalmente ci sistemiamo all'interno della location. Ce l'abbiamo fatta, siamo sotto al palco, accanto alla passerella. Si sta stretti, e il tempo passa lento, lentissimo. Alle 18 circa il sole tramonta dietro il palco, per i più fortunati come noi; un po' di fresco.

 

Mi intrattengo chiacchierando con chi ho accanto: chi sarà la sorpresa annunciata? Si dice Bruce Springsteen, come a Lisbona. Qualcuno azzarda: Eric Clapton. L'ambiente è quanto mai variopinto: dalle universitarie romane, alla famigliola rockettara lombarda, passando per l'attempato e silenzioso fan francese solitario e la coppietta inglese. Chi come me non ha mai visto gli Stones, chi pensava dovesse rimanere per sempre un sogno irrealizzato; chi invece è al suo ventesimo concerto di Jagger e compagni.

 

Finalmente alle 20:00, come da previsione, il silenzio degli altoparlanti che fino ad allora avevano diffuso musica blues e rock'n'roll, annuncia l'imminente inizio del concerto.

Apre le danze John Mayer, virtuoso chitarrista blues: grande musicista, compositore discreto, più noto al grande pubblico italiano per questioni di gossip che musicali. Il suo “pop-blues” rilassa, incanta, ma non è l'ideale per infuocare i già ardenti animi degli ormai 70.000 mila presenti in scalpitante e frenetica attesa. Si fa comunque apprezzare per le sue doti tecniche ed i suoi assoli. 12 pezzi per un totale di 1 ora di concerto. Ci saluta. Spera di tornare presto in Italia, ma sa che un pubblico ed una location così non gli ricapiteranno mai più.

 

In breve tempo i roadie hanno smontato la strumentazione di Mayer e band. Ed ecco che spuntano le inconfondibili chitarre di Richards e Wood.  Icone. E le pelli e i piatti di Watts, con l'ormai noto cartellino con su scritto “CLOSED” appeso. L'adrenalina inizia a salire.

 

Passa anche quella che credo essere stata l'ora più lunga della mia vita. Un roadie gira il cartellino sulla batteria di Watts: “OPEN”. Ci siamo. Si spengono le luci che illuminavano la platea, il palco si tinge di rosso, così come i Maxi Schermi. Un ritmo tribale ci imbocca il coro, ormai immancabile nei pre-concerti delle Pietre Rotolanti: quasi a volerli invocare, intoniamo gli “uuh uuh” di Sympathy for the Devil.

 

Di nuovo silenzio.

 

Le luci puntate sul palco.

 

Una voce annuncia (citando Shakespeare): “Friends, Romans, countrymen...Would you please welcome: THE ROLLING STONES”.

 

Boato dell'oceano di 70.000 anime, ed ecco entrare in scena Charlie Watts, Ronnie Wood e Keith Richards: Jumpin' Jack Flash. Una vera esplosione. Arriva Mick Jagger, scatenato, accompagnato da uno spettacolo pirotecnico. Una belva da palconoscenico, come sempre. Nè il tempo, né le (recenti) vicende personali, hanno intaccato minimamente la sua energia, la sua inarrestabile voglia di fare rock'n'roll. L'attesa è finita, il sogno si è realizzato: “It's all right now” ci fa gridare Mick. Sono lì, ad un metro e mezzo da me; non riesco a trattenere una lacrima. E' il sogno di un 14enne che si avvicinava per la prima volta a quella musica e a quel mondo che si realizza, 7 anni dopo, e lo capisco lì, quando proprio davanti ai miei occhi, sulla passerella Keith Richards si esibisce nel primo assolo della serata. Sono una groupie impazzita. Il pezzo finisce e mi ricompongo. “Ciao Roma. Ciao Italia” ci saluta Jagger, accolto da un'esplosione di urla, in un italiano che sa di thè delle cinque con annessi pasticcini tanto quanto il “that's ammorre” di Dean Martin sa di sigaro e scotch. Intro di pianoforte: Let's Spend the Night Together. Il classicone che non ti aspetti, quello che valorizza ancora di più il concerto. Rock n' Roll puro, quello degli esordi, quello che trasuda ancora i dischi di Chuck Berry consumati dai ventenni Richards e Jagger. Sì, non chiediamo altro: passiamola questa notte insieme. Subito dopo, si va tutti fuori di testa, quando la chitarra di Keith da il via all'inno, non della band, ma di tutti i rockers del mondo: I know, “It's Only Rock n' Roll (but I like it)”, cantiamo tutti in coro. Già, solo Rock n roll.

 

Ruffianata di rito sull'Italia ed i mondiali, che, pronostica il cantante, vinceremo noi quest'anno. [A posteriori, non ha portato benissimo, ndA]. Qualcuno dal pubblico grida: “paraculo”. Ma gli Stones li si ama anche per questo in fondo. Il pezzo successivo è “Tumbling Dice”, che desta l'attenzione dei più informati. A Lisbona, infatti, è proprio su quelle note che si è realizzato il duetto col Boss, Bruce Springsteen. Canzone spettacolare, ma niente sorpresa, ahimè. Sorpresa che viene annunciata da Mick Jagger subito dopo: “Abbiamo qualcosa di romantico per voi”. L'ambivalenza di questo annuncio manda in visibilio: l'arpeggio introduce Streets of Love, pezzo tratto dall'ultimo disco della band, uscito ormai 8 anni fa, che non veniva suonata addirittura dal 2007.  Qualcosa di romantico appunto, come la canzone, una delle più famose soprattutto per i più giovani, che all'unisono cantano il ritornello. Ma ancora più romantico è stato vedere chi afferrava la chitarra in quel momento: accanto a Ronnie e Keith, ecco arrivare Mick Taylor. Il successore del mitico Brian Jones, si destreggia con i vecchi compagni di band sottolinenado le venature blues del pezzo. Magia.

 

Mick Jagger imbraccia la chitarra; c'è qualche problema tecnico con la sua sei corde, ben presto risolto. Parte il devastante riff di Doom and Gloom, l'ultimo inedito della band, del 2012. Pezzo violentissimo. Non ci pensi che l'hanno scritto a 70 anni suonati, e dal vivo rende ancora di più.

Come consuetudine in questo 14OnFire tour, tramite i canali social la band aveva invitato i fan a scegliere una canzone (tra sei proposte) che avrebbero voluto sentire a Roma. La scelta è caduta sulla trascinante Respectable. Seconda sopresa della serata, sta volta tocca a John Mayer, che torna sul palco a duellare a suon di assoli con la band. Segue Out of Control, pezzo minore dell'immensa discografia della band, che seppur ben eseguito, con tanto di Jagger all'armonica, non compete con il resto dei brani fino ad allora proposti. Da segnalare però il duetto armonica/chitarra tra i Glimmer Twins. Fantastico. Si ritorna ad urlare non appena il campanaccio la introduce: Honky Tonk Women. Altro giro, altra hit. Ritornello cantato ancora una volta dalla voce unica del Circo Massimo. A fine pezzo, come consuetudine, presentazione della band. Prima i coristi, tra cui l'inseparabile Lisa Fischer, lady dal mood gospel che tornerà protagonista più avanti nello show; poi i fiati, il tastierista Chuck Leavell e il bassista Darryl Jones, che possono ormai essere considerati membri fissi della band. Jagger presenta quindi i compagni: isteria collettiva per dimostrare il nostro affetto a Mr. Ronnie Wood (Che, a detta di Jagger, “mangia troppa poca pasta”), Mr. Charlie “Roberto” Watts, e Mr. Keith Richards. Ed è a loro tre che Mick lascia le redini dello spettacolo per i dieci minuti a seguire. I due chitarristi imbracciano le chitarre acustiche, parte il sognante blues You Got the Silver, bellissimo brano cantato dal “pirata” Richards, come anche la successiva Can't Be Seen, altro pezzo minore che sfigura rispetto al resto della setlist.

 

Lì per lì non te ne accorgi, ma siamo a metà show.

 

Tornano i “due Mick” sul palco, Jagger e Taylor. Il primo di nuovo con l'armonica. E' Midnight Rambler. Sarà perché sono un patito di blues, sarà perché l'hanno eseguita davvero, ma davvero magistralmente, ma mi sento di dire che è stato questo l'apice (musicale) della serata. Goduria pura. Potenza. Un susseguirsi di improvvisazioni, di assoli: chitarre e basso, e armonica. E poi il duetto di Mick col pubblico, stile Cab Calloway nella mitica scena di “The Blues Brothers”. Irrimovibile.

Segue Miss You, che col suo sapore Funky ci trascina sino all'ennesimo capolavoro: Gimme Shelter.

Ora Lisa Fischer è protagonista insieme a Mick: in un duetto da pelle d'oca, ci ricordano che la guerra e l'amore sono solo ad uno sparo e ad un bacio da qui. Uno dei testi più belli dell'intero repertorio delle Pietre Rotolanti. Poesia. Piccola imprecisione di Keith che non azzecca il tempo della strofa, e se ne esce ridendo; ma in fondo il bello degli Stones non è anche questa loro imprecisione? Gliela si perdona.

 

Subito dopo un altro di quei riffoni che sembrano nati apposta per stendere la folla nei live introduce uno dei pezzi più famosi anche tra gli ascoltatori occasionali: Start Me Up. “You made a grown man cry”. Già. Ce l'avete fatta Stones, mi avete fatto piangere.

 

Il ritmo tribale sentito nell'immediato pre-concerto sta volta introduce il cassico : un impellicciato Mick Jagger veste i panni di Satana, è Sympathy for the Devil. Uuh uuh! Delirio. Come è delirio per la successiva Brown Sugar, altra canzone amatissima da tutti i fan, che chiude la prima parte dello show. La band si ritira dietro le quinte, prima dell' encore.

 

Nemmeno il tempo di intonare il “fuori, fuori” di rito, un faro illumina un coro di giovani

 

E' You Can't Always Get What You Want. Immensa, bellissima, commovente. Dopo il coro, la chitarra imbracciata dallo stesso Mick, accompagnata da quella di Keith e da un corno francese, guida tutto il Circo Massimo nell'intonare una delle canzoni più toccanti degli Stones, quella che ti ascolti di solito a casa quando sei giù, quella che gridi a squarciagola in uno dei momenti più emozionanti della tua vita. “Non puoi avere sempre ciò che vuoi, ma se ci provi, a volte, puoi avere ciò di cui hai bisogno”.

 

Finisce. Jagger ringrazia, cito testualmente, il “Coro Giovinale Italiano”.

 

Sappiamo tutti cosa ci attende. Perchè è da anni che per la chiusura della scaletta, il gruppo non riserva nessuna sorpresa. E nessuna sorpresa vuole il pubblico. Perchè quel Riff è impagabile e insostituibile. Il riff che nella propria autobiografia, Life, Keith dice di aver composto nel sonno. Il riff più famoso e trascinante della storia del rock: (I Can't Get No) Satisfation.

 

Il capolavoro. Torna ancora Taylor sul palco. Non si ragiona più. Si salta, si balla, si spinge, si canta, si urla. E' una bolgia. Si cerca di godersi ogni secondo, ogni nota, di quella canzone, perché è l'ultima. E' l'ultimo momento di una serata indimenticabile, irripetibile. Forse l'ultimo incontro con la storia del Rock. Perchè non ci saranno mai più altre Pietre Rotolanti. Il pezzo finisce, la band ci saluta. Uno spettacolo pirotecnico illumina il cielo.

 

Ciao Circo Massimo, ciao Rolling Stones. Grazie di tutto.

Si accendono le luci, 70000 cuori vengono destati da quel sogno rock'n'roll appena vissuto.

 

Il popolo degli Stones si riversa nelle strade capitoline. Si torna a casa.

 

E' una di quelle esperienze che ti cambiano, profondamente. Al di là di quanto l'hai sognata, al di là di quanto hai amato nelle tue cuffie o nelle tue casse quelle canzoni, quella voce, quelle chitarre. Non ci credi finché non sei lì. E quando sei lì, sai che non vorresti, che non dovresti, essere in nessun altro posto. Non importa chi sei, o quanti anni hai, cosa ti succede nella vita, cosa non va. Tu sei lì, la musica è lì, e non importa nient'altro. Nelle due ore di concerto, il tempo si ferma. Rispetto a quelle due ore perdono senso 50 anni di musica, o 21 anni di vita. Tu sei lì, loro sono lì. E' la magia del Rock'n'Roll.

Perchè alla fine, dopo tutto, quello che più conta è questo. Conta più delle droghe. Più delle scopate di Mick e delle sigarette di Keith. Più della riservata compostezza di Charlie e della contagiosa simpatia di Ronnie. Più dei milioni di dischi venduti, e delle generazioni che li hanno consumati quei dischi. Molto più dei soldi e delle ore sotto il sole spesi per esserci.

 

Perchè lo so io, lo sapete voi... e credetemi, lo sanno anche loro: E' solo Rock'n'Roll.

 

Solo, fottuto, Rock'n'Roll. Ma noi lo amiamo.

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