A volte di (piacevolmente) ritornano: all’inizio dell’incombente 2015 uscirà il nuovo lavoro dei Waterboys, “Modern Blues”, a circa ventisette (!!) anni di distanza da uno dei loro maggiori lavori di sempre. Un pezzo di storia –la loro e quella del rock internazionale– intitolato “Fisherman’s Blues”…
La band britannica arrivò alla pubblicazione di questo suo importante album –preceduto da un altro capolavoro, “This Is The Sea”, dell’85– avendo alle spalle cinque anni di attività live e ‘studio’ diretta da Mike Scott, originario di Edimburgo e principale factotum del “progetto Waterboys” assieme al dublinese Steve Wickham, noto per le sue ‘incursioni’ di violino nel “War” album degli U2 (vedi “Sunday, Bloody Sunday” e “Drowning Man”) e poi tra le schiere degli In Tua Nua. Dopo aver attraversato vari stili musicali anche in virtù degli eterogenei contributi dei vari artisti che avevano collaborato con loro nei vari anni, i Waterboys passano dunque dal rock delle origini al folk –irlandese– di “Fisherman’s Blues”. Questo disco, ancor oggi, è una vera è propria pietra d’angolo nella storia della band poiché rappresenta un punto d’equilibrio tra nuove sonorità e tradizionali ballads con tracce evidenti di cultura irlandese. Si va, in pratica, dal folk-rock di Van Morrison alla poesia classica di Yeats.
“Fisherman’s Blues” è il risultato di una serie d’incisioni effettuate tra il 1986 ed il 1988 a Dublino (ai “mitici” Windmill Lane Studios), San Francisco e Galway con l’intenzione di catturare quello spirito didivertissement spontaneo che si percepisce ascoltando tutti e dodici i brani, rigorosamente suonati dal vivo. Il primo di questi è la titletrack che venne per la prima volta presentata al pubblico nell’86, all’interno del popolare The Tube, su Channel 4: un inno liberale, un invito a solcare gli oceani, in fuga dal deserto sociale della terra natìa. Una ballata folk, in cui il violino di Wickham va oltre la brezza tra i capelli. Da qui in poi è tutto un dialogo America-Irlanda.
L’appassionata voce di Mike Scott caratterizza l’intero album così come il fuzz-fiddle del violino di Wickam che ha particolare rilevanza nel wall-of-sound di “We Will Not Be Lovers”, indimenticabile picco dell’intero album. Altri, invece, sono i ritmi per le blande e rilassate “Strange Boat” e “World Party” nonché per “Jimmy Hickey’s Waltz” –brano sospeso tra il folk irlandese e il country americano– che chiude la A-side dell’originaria versione in vinile di “Fisherman’s Blues”. E’ una ballata scritta dalla coppia Scott-Wickham –“And A Bang On The Ear”– quella che apre il secondo lato dell’album e che racconta di amori struggenti ma in tono alquanto ironico (il “colpo sull’orecchio” del titolo sta in pratica al “bacio sulla guancia”, secondo quello che è lo slang irlandese). Le atmosfere tipicamente “irish” di “When Will We Be Married?” si contrappongono ai sapori “californiani” del brano successivo –“When Ye Go Away”– dove però a mitigare il tutto ci sta sempre il violino di Wickham; a seguire, “Dunford’s Fancy”, una delle testimonianze di quel divertissement di cui dicevamo qualche rigo sopra.
Oltre al repertorio originale della band, all’interno di “Fisherman’s Blues” si apprezza anche un condensato di tributi: una cover di “Sweet Thing” del già menzionato Van Morrison (che, peraltro, sfuma su una strofa della “Blackbird” di beatlesiana memoria), un particolare omaggio al country di Hank Williams in “Has Anybody Here Seen Hank?” e la trasposizione in musica di “Stolen Child” (poesia di W.B. Yeats); quasi fosse quella che oggi sarebbe stata definita una ghost-track, in chiusura arriva pure il minuto scarso di “This Land Is Your Land” di Woodie Guthrie (si noti la significativa variante irlandese ai luoghi, americani, menzionati nelle lyrics del grande folksinger statunitense).
La composizione dell’intera scaletta di brani rappresenta senza dubbio una pagina esaltante e quasi commovente di una musica senza barriere, senza confini tra musica a stelle-e-strisce e melodie dalla terra dei celti. Un disco che si fa forte di una consistente schiera di musicisti colti nel momento massimo della loro ispirazione e del loro coinvolgimento collettivo. Ciò gli consentì, all’epoca, di riscuotere ottimi consensi della critica nonché rilevanti risultati di vendita, convincendo la band di Mike Scott a continuare il proprio viaggio alla ricerca delle radici della musica britannica. Viaggio che purtroppo, agli inizi dei Novanta, si fermò conseguentemente alla fuoriuscita di Wickham dal gruppo, successivamente imitato dal bassista e dal sassofonista. Nel 2000, però, la felice reunion.
Chi ascolta oggi i Waterboys, potrebbe anche essere indotto a dare per secondaria, rispetto ad altre formazioni degli anni ‘80/’90, l’importanza della band di Mike Scott ma è sicuro che mia figlia ed i miei nipoti, soprattutto senza “Fisherman’s Blues”, non avrebbero mai potuto conoscere –ad esempio e con molta probabilità– né i Fleet Foxes né i tanto-in-voga Mumford & Sons. Né tanto meno capire quel che è successo prima della nuova uscita segnata per il prossimo 20 gennaio 2015 a conferma che la “saga” dei Waterboys sembra destinata ancora a durare.