Luglio 1994. La Matador Records dà alle stampe “Gold Soundz”, secondo singolo estratto da “Crooked Rain, Crooked Rain”, album a firma Pavement e considerato dai critici musicali disco fondamentale nell’evoluzione dell’indie-rock negli anni ’90.

Formatasi nell’89 in quel di Stockton, California, la band di Stephen Malkmus è ancor oggi considerata una delle maggiori esponenti di una ‘scena’ che ha visto anche Sebadoh, Superchunk e, ancor prima, Guided By Voices e Dinosaur Jr accomunati dalla frequentazione dei territori impervi e tortuosi del lo-fi inteso quale sottogenere abbandonato dai Pavement proprio nella transizione dagli esordi dei primi EP (e di “Slanted And Enchanted”, del ‘92) al succitato “Crooked Rain, Crooked Rain”. Questo loro secondo album sancì la consacrazione delle qualità stilistiche della band, proprie e personalissime, e soprattutto il cinismo surreale e sarcastico dei testi scritti da Malkmus. Il tutto grazie ad una registrazione messa in piedi nel giro di circa un mese, tra l’agosto ed il settembre del 1993, ad un anno dalle esibizioni come supporter nel “Dirty” tour dei Sonic Youth (una cui certa influenza è velatamente presente nella successiva produzione dei Pavement).

Con “Crooked Rain, Crooked Rain” Malkmus e soci si lasciano dunque alle spalle trame a volte rumorose per raggiungere una maggiore maturità tangibile sin dall’apertura/‘settaggio’ del sound confluente in “Silence Kid”, contraddistinta da quelle chitarra e voce ispirate che poi si ritrovano nella ‘sghemba’ “Elevate Me Later”, seguita dall’appassionata “Stop Breathin” e poi da quello che è il primo singolo estratto: “Cut Your Hair”, il pezzo più pop dei Pavement ma non per questo molto amato dagli indie-rocker anni Novanta. Il secondo singolo arriva dopo “Newark Wilder” (secondo Malkmus, “una canzone da cabaret”)  e “Unfair” (cavalcata di distorsioni psichedeliche): si tratta, come già accennato in premessa, di “Gold Soundz” che strizza l’occhio alle radio e a sonorità più facili. L’ascoltatore deve invece attendere fino all’ottava traccia per avere, finalmente per lui, il cosiddetto ‘momento sperimentale’ che arriva con “5–4=Unity” (jazz, blues, surf e chi-più-ne-ha-più-ne-metta) subito soppiantato dalle sonorità di ‘stampo R.E.M.’ contenute in “Range Life” (qui Malkmus&Co. ridicolizzano il loro prendersi a volte troppo sul serio, estendendolo –nella parte finale del testo– a Smashing Pumpkins e Stone Temple Pilots…!!). Preceduta da “Heaven Is A Tuck” –dove c’è tanto Lou Reed– e seguita dalla conclusiva “Fillmore Jive” –col suo finale sghembo-noise– ecco “Hit the Plane Down”: un noise psichedelico, probabilmente ispirato dai Fall e che lascia intendere l’interesse della band a quella fusione di vari generi senza la quale questo loro secondo album non sarebbe mai venuto alla luce.

Dopo “Crooked Rain, Crooked Rain”, i Pavement pubblicarono poi altri tre album prima di separarsi, purtroppo, nel 1999. Un anno dopo iniziava la brillante carriera solista di Stephen Malkmus –accompagnato dai ‘suoi’ Jicks– che molti di noi hanno sicuramente avuto il piacere di verificare anche in seno a festival come l’Ypsigrock di due anni fa

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